STORIE DI BUSINESS • Articolo • 12 Giu 2023
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L’11 luglio 1969 nelle radio del Regno Unito veniva pubblicata una canzone che raccontava di un astronauta solitario, disperso nello spazio, Major Tom. Una canzone che scaramanticamente le radio dell’epoca snobbarono e che forse non avremmo mai ascoltato se Buzz Aldrin quel 20 luglio 1969 non avesse pronunciato un “Ok, motore fermo!” a segnare l’inizio dell’allunaggio.
Ad ascoltare questa frase, la prima dell’uomo sulla Luna, e quella - ben più celebre - di Armstrong, furono 650 milioni di persone nel mondo. Da quel 20 luglio, infatti, l’attenzione del pubblico si concentrò come non era mai accaduto prima sullo spazio, con una crescita esponenziale degli investimenti e una corsa ad accaparrarsi le migliori tecnologie.
Una delle tecnologie che maggiormente ha trattovantaggio dalle esplorazioni spaziali è sicuramente quella fotovoltaica. La maggior parte dei satelliti, infatti, si alimentano tuttora grazie alla conversione dell’energia solare in energia elettrica attraverso celle fotovoltaiche. L’esempio più importante è quello dell’ISS, la Stazione Spaziale Internazionale, con i suoi quattro segmenti di pannelli solari montati dal 2000 al 2009 a seguito di quattro diversi lanci. A partire dal 2021 ha preso avvio una nuova fase con l’installazione, conclusasi nel 2023, degli iROSA (ISS Roll-Out Solar Array), particolari impianti flessibili e arrotolabili, che in parte copriranno quelli vecchi danneggiati e, in parte, li affiancheranno: in questo modo la produzione di energia della stazione potrebbe aumentare fino a un totale complessivo di oltre 250 kW.
Per arrivare a questo risultato, di potenza ma soprattutto di durata nel tempo - i primi pannelli sono coevi all’assemblaggio della stazione, iniziato nel novembre 1998 - è stato necessario uno sforzo tecnologico enorme. I pannelli spaziali infatti sono sottoposti a radiazioni solari molto forti e all’aggressione dell’ossigeno atomico che possono danneggiare in breve tempo i materiali. Risolvere questi problemi ha richiesto lo sviluppo di speciali vernici protettive. Una tecnologia che insieme a quella relativa all’intelaiatura, si è riflessa sull’applicazione terrestre.
Il futuro del fotovoltaico in orbita sembra però andare ancora oltre. Cina e Giappone da anni stanno lavorando alla costruzione di una centrale fotovoltaica orbitante capace di trasmettere l’energia alla terra. La Cina nel 2022 ha annunciato di aver testato a terra la prima struttura funzionante di fotovoltaico wireless. Obiettivo dichiarato: avere una centrale solare sperimentale in orbita entro il 2035. Il California Institute of Technology (Caltech) è andato ancora oltre e nel 2023 ha lanciato in orbita un piccolo impianto dimostrativo per testare la capacità di cattura dell’energia solare, la trasformazione in microonde e l’invio di queste su lunghe distanze. L’esperimento ha avuto successo: in particolare destare l’interesse mondiale è MAPLE il sistema di trasmettitori, leggero e flessibile, che ha permesso di trasmettere energia prodotta da impianti fotovoltaici in modalità wireless alla Terra. Le applicazioni, se il successo sarà confermato e il progetto industrializzato, potrebbero essere enormi.
Altrettanto attuale ed entusiasmante la costruzione del generatore fotovoltaico che è stato impiegato durante la missione JUICE (Jupiter Icy Moons Explorer). Questa è partita ufficialmente il 14 aprile 2023 con il lancio della sonda che dovrà raggiungere Giove nel 2029. La sonda è alimentata dal maggior generatore fotovoltaico spaziale mai costruito per questo genere di dispositivi: 24mila celle solari per una superficie complessiva di 85 metri quadrati. I pannelli sono in Arseniuro di Gallio (GaAs), materiale capace di trasformare le radiazioni solari in elettricità anche quando, data la distanza dal Sole, saranno 30 volte più deboli rispetto a quelle terrestri e la temperatura crollerà a -230 °C. Ancora una volta lo spazio diventa un banco di prova di tecnologie, come i microfilm di GaAs, che nel prossimo futuro potranno avere una ricaduta sulla nostra vita quotidiana.
PS: a proposito di Major Tom, la canzone che ne parla ha un titolo che probabilmente avrete già sentito, Space Oddity. E quello sconosciuto ragazzo biondo, innamorato dei film di Kubrick, che l’aveva composta nel gennaio del ‘69, si chiamava David Robert Jones. O, meglio, David Bowie.
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